a cura di Paola Infantino
1860-1935
Agli inizi del XIX secolo, precisamente nel 1833, il re di Sardegna Carlo Alberto, istituì la prima Regia Deputazione di storia patria, denominandola Deputazione subalpina. Nelle intenzioni del sovrano, avrebbe dovuto sovraintendere non solo agli studi inerenti al territorio sabaudo, ma anche a quelli relativi a tutti i territori che progressivamente sarebbero stati uniti al Regno. Tuttavia alla vigilia dell'annessione dei territori delle province emiliane al Regno di Sardegna, il governatore, Luigi Carlo Farini, su invito del ministro della pubblica istruzione delle dette province, Antonio Montanari emanò un decreto dittatoriale col quale istituiva altre tre Regie Deputazioni. Questo provvedimento arrestò di fatto l'espansione territoriale della Deputazione sabauda, che nel frattempo aveva incluso nella sua area di pertinenza le province lombarde.
La scelta di Farini e di Montanari di istituire ben tre Deputazioni fu dettata non solo dall'opportunità di valorizzare al meglio l'ampio patrimonio storico-artistico delle 'Regie Provincie', ma anche, se non soprattutto, dalla necessità di dar ragione delle profonde diversità culturali, riflesso delle vicende storico istituzionali che in passato avevano interessato un territorio politicamente disomogeneo in quanto governato da tre stati differenti: le Legazioni pontificie, il Ducato di Modena e il ducato di Parma e Piacenza. Conseguentemente, le tre Deputazioni dell'Emilia, poste alle dirette dipendenze del Ministro della Pubblica Istruzione, furono così stabilite:
- Regia Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, con sede a Bologna, per i territori delle ex legazioni pontificie: province di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna;
- Regia Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, con sede a Modena, per i territori dell'ex Stato Estense: province di Modena, Reggio Emilia, Massa di Lunigiana;
- Regia Deputazione di storia patria per le provincie parmensi, con sede a Parma, per i territori dell'ex Stato Parmense: province di Parma e Piacenza .
I nuovi sodalizi ebbero quindi per scopo principale la promozione degli studi patri nei territori emiliano romagnoli, primariamente attraverso il recupero, lo studio e la valorizzazione delle fonti documentarie, materiali e di tradizione orale.
Al momento della loro istituzione, l'organico delle tre Deputazioni si compose di un ristretto numero di membri, tutti nomi di spicco nell'ambito degli studi locali; inoltre a ricoprire la carica di presidente in ciascuna sede vennero chiamati personaggi illustri.
La prima adunanza generale fra le Deputazioni emiliane si tenne a Bologna il 21 marzo del 1860, su invito di Montanari, il quale presenziò all'evento. Fu in questa occasione che la Deputazione romagnola venne incaricata di preparare un progetto di statuto comune, infatti, nonostante il dichiarato status paritario delle tre Deputazioni, fin dall'inizio quella bolognese assunse di fatto la posizione di prima inter pares. Quindi, allo scopo di redigere tale progetto, il 21 aprile 1860 venne nominata un'apposita commissione formata dai soci Francesco Rocchi, Ariodante Fabretti e Luigi Frati e, dopo varie rielaborazioni, il primo statuto fu approvato, con regio decreto, il 6 luglio del 1862.
Lo statuto delle Deputazioni di storia patria dell'Emilia definì dettagliatamente l'ambito tematico e cronologico degli studi che sarebbero stati di sua competenza, nonché le modalità di pubblicazione delle collane. Lo statuto inoltre stabiliva sia il numero massimo dei membri previsto per ogni livello associativo, sia le modalità di ammissione e le prerogative specifiche dei deputati a seconda del grado di coinvolgimento nella vita associativa. Nello stesso furono stabilite le cariche e gli organi di governo dell'ente, oltre che le norme che ne regolavano le attività. Infine, lo statuto del 1862 si occupò di regolamentare i rapporti e le modalità di interazione fra le Deputazioni, le quali, per quanto fossero autonome sia sotto il profilo scientifico che in quello economico, furono chiamate a correlarsi attraverso periodiche adunanze generali nonché a relazionare sul vicendevole operato, organizzando annualmente un solenne congresso; inoltre erano tenute a pubblicare gli atti unitamente.
In realtà dopo pochi anni, progressivamente e tacitamente, ognuna d'essa iniziò a svolgere la propria attività scientifica separatamente ed autonomamente; il primo riflesso di questa condotta si ebbe con la pubblicazione degli atti in collane separate, curate da ogni singola Deputazione. Anche le assemblee comuni si diradarono sempre più, fino a quando, a seguito della nascita dell'Istituto storico Italiano, furono definitivamente sostituite dai congressi annuali dell'istituto stesso, che divennero occasione di incontro e confronto per tutti gli istituti nazionali che si occupavano di studi storici.
Il primo trentennio di attività della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna coincise con gli anni della promozione degli studi nazionali, fortemente sostenuti dal nuovo Stato unitario al fine di creare una rinnovata coscienza patriottica. La Deputazione divenne così una risorsa assai preziosa per il Governo, tant'è che non esitò a delegare ai suoi membri le ispezioni e le ricognizioni necessarie sia per la formazione di un Archivio Nazionale nella città di Bologna, a modello di quello fiorentino, sia per l'istituzione di un Museo Civico. Negli anni che precedettero la nascita dell'Archivio di Stato, il sodalizio si prodigò nella pubblicazione di importanti fonti documentarie, mentre successivamente al 1874 la Deputazione si impegnò a sostenere l'opera di implementazione del patrimonio archivistico dell'ente, partecipando inoltre attivamente alla ricerca di locali che potessero accogliere adeguatamente una tale mole di documenti.
La Deputazione ebbe un ruolo fondamentale anche per l'esecuzione di importanti scavi archeologici, come furono quelli presso Marzabotto, finanziati dal presidente Gozzadini, o quelli presso la Certosa di Bologna durante i quali emersero numerosi reperti etruschi; rilevanti furono anche gli scavi effettuati presso Imola, che permisero di riportare alla luce le vestigia di un teatro romano sito sulla via Emilia, o ancora l'opera di verifica e studio a seguito del ritrovamento delle ossa di Dante a Ravenna. Successivamente la Deputazione sovraintese all'opera di recupero e valorizzazione del vasto patrimonio artistico della città di Bologna risalente al Medioevo, impedendo spesso distruzioni irreversibili e intervenendo in dibattiti che animarono forti polemiche come quelle relative all'abbattimento della cinta muraria.
Nei primi anni del Novecento, con il sorgere di nuovi uffici preposti dal Governo alla tutela dei monumenti e all'archeologia, la Deputazione venne progressivamente sollevata dai compiti istituzionalmente assegnatile fino ad allora, continuando tuttavia ad «operare in concerto con essi, partecipando costruttivamente all'azione» dei nuovi uffici.
Fino agli anni '20 del Novecento, l'attività scientifica della Deputazione romagnola proseguì senza particolari variazioni, ampliando ulteriormente la propria rete di relazioni, vantando fra gli abbonati alle proprie pubblicazioni anche prestigiosi istituti esteri. Ma con l'ascesa del movimento fascista, a causa di una progressiva azione di controllo attuata dal regime su tutte le attività culturali del Paese, anche la vita del sodalizio iniziò a perdere la sua storica autonomia. Nel 1925 venne infatti fondato l'Istituto di cultura fascista, ed alle Deputazioni e agli Istituti storici fu richiesto, in un primo tempo solo informalmente, di coordinarsi con esso, nell'intento di indirizzare le ricerche storiche verso gli ambiti approvati dal partito.
Successivamente, nel 1933, venne invece ordinato con regio decreto che i membri delle Deputazioni e delle Società di studi patri prestassero giuramento accademico al re e al regime, pena la decadenza della carica.
Le tre Deputazioni dell'Emilia, poste alle dirette dipendenze del Ministro della Pubblica Istruzione, furono così stabilite:
- Regia Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, con sede a Bologna, per i territori delle ex legazioni pontificie: province di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna
- Regia Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, con sede a Modena, per i territori dell'ex Stato Estense: province di Modena, Reggio Emilia, Massa di Lunigiana
- Regia Deputazione di storia patria per le provincie parmensi, con sede a Parma, per i territori dell'ex Stato Parmense: province di Parma e Piacenza
1935-1945
Il 20 luglio 1934 venne emanato il Regio decreto legge n. 1226 sul coordinamento degli Istituti nazionali di studi storici, con il quale fu «istituita in Roma una "Giunta centrale per gli studi storici" con il compito di coordinare l'attività delle Reali Deputazioni e Società di storia patria». Secondo quanto ordinato dal decreto, entro un anno la Giunta avrebbe dovuto presentare al ministro per l'educazione nazionale un piano di «riordinamento di tutte le istituzioni storiche del Regno, creando eventualmente o sopprimendo Reali Deputazioni e Società di storia patria».
Il 20 giugno 1935, fu quindi approvato un regolamento unitario per tutte le regie Deputazioni di storia patria, che, oltre a ridefinire i territori di competenza delle Deputazioni non soppresse dal precedente decreto, stabiliva le stesse quali «organi periferici della Giunta centrale per gli studi storici.
La Deputazione assunse la nuova denominazione di Regia Deputazione di storia patria per l'Emilia e la Romagna, mantenendo la sua sede a Bologna ma inglobando le circoscrizioni delle soppresse Deputazioni di Modena e di Parma.
Con l'entrata in vigore di questo regolamento furono quindi «abrogati tutti gli statuti e regolamenti interni delle Deputazioni» escludendo «la possibilità che se ne emanino dei nuovi» e vennero ridefiniti gli ambiti di ricerca della Deputazione oltre che riorganizzati tutti gli aspetti concernenti la vita associativa e amministrativa della Deputazione. Anche le modalità di ammissione alla Deputazione e la ripartizione dei membri subirono rilevanti variazioni, inoltre per la prima volta venne contemplato il versamento di una quota associativa.
Per «agevolare il compimento di quest'opera» di riordino, il Governo stabilì che fossero sciolti tutti consigli direttivi delle regie Deputazioni, e che se ne affidasse la temporanea amministrazione a dei regi commissari; per la Deputazione per l'Emilia e la Romagna venne nominato con regio decreto Pier Silverio Leicht.
Soltanto dopo parecchi mesi i lavori di «inquadramento delle Società storiche nel nuovo ordine» legislativo poterono ritenersi conclusi, e i commissari furono chiamati a mettere in atto le disposizioni governative. Leicht, nelle sue funzioni di commissario per le Regie Deputazioni di storia patria per le province di Romagna, per le province parmensi e per le province Modenesi, inviò al Ministero competente una dettagliata relazione dove, oltre a delineare un quadro dello stato di fatto, propose un piano di riordinamento. Il piano, seguendo le indicazioni già comunicate al commissario dalla Direzione generale delle Accademie e Biblioteche, prevedeva che la Deputazione modenese e quella parmense fossero trasformate in sezioni della Deputazione per l'Emilia e la Romagna; la stessa cosa sarebbe avvenuta per la Deputazione comunale di Ferrara. Questa struttura, che prevedeva dei presidenti e dei consigli di Sezione oltre che contemplare dei bilanci separati, sembrò la soluzione che meglio potesse garantire il proseguimento delle differenti tradizioni locali.
Nell'ottobre del 1935 i commissari vennero inoltre invitati a proporre dei nominativi alla Giunta centrale, per l'assegnazione delle nuove cariche, scegliendo fra coloro che non solo avevano già raggiunto una certa notorietà negli studi storici, ma soprattutto che potessero dare «massime garanzie politiche ed organizzative». Per la Deputazione emiliana la scelta ricadde su Pericle Ducati, quale presidente, e su Antonio Boselli, quale vice presidente; entrambe le cariche furono assegnate non più a seguito della nomina elettiva dei soci della Deputazione chiamati a deliberare, come era stato fatto fino ad allora, bensì direttamente con regio decreto , secondo quanto previsto dal nuovo regolamento.
Così il 9 novembre del 1935, con seduta solenne e alla presenza del ministro e delle autorità cittadine, presso l'aula magna dell'Università di Bologna fu inaugurato il nuovo corso della Deputazione di storia patria per l'Emilia e la Romagna.
Nonostante il riassetto formale imposto dal Governo, di fatto l'attività della Deputazione non subì mutamenti essenziali; anche le Sezioni, che nell'uso corrente continuarono a definirsi Deputazioni, proseguirono le proprie ricerche in autonomia, fin quando l'insorgere del secondo conflitto mondiale determinò l'affievolirsi dell'opera della Deputazione emiliana, fino ad una sospensione quasi totale dei lavori nel biennio 1943-1945.
Nonostante il riassetto formale imposto dal governo nel 1935, di fatto l'attività della Deputazione non subì mutamenti essenziali
1945-
Nell'estate del 1945, a seguito dell'occupazione degli alleati dell'Italia settentrionale, venne avviata un'opera di restaurazione che interessò anche gli enti culturali. A dirigere le diciassette deputazioni di studi patri, per condurle verso la ripresa delle attività, vennero nominati altrettanti commissari governativi provvisori. Dopo un'attenta valutazione, per la guida della Deputazione emiliana, la scelta ricadde su Giuseppe Micheli, già presidente della Sezione parmense; questi, a sua volta, delegò la reggenza della presidenza al già segretario Fulvio Mascelli, nonché soprintendente archivistico dell'Emilia.
Da subito venne palesato al Ministero della pubblica istruzione il desiderio, mai attenuatosi in quegli anni, di ricostituire le deputazioni così come erano state prima del 1935; essendo tale auspicio condiviso anche dal commissario, iniziarono subito i lavori di compilazione di un nuovo statuto da proporre ai deputati e nel novembre del 1945 fu «convocata l'Assemblea generale di tutta la Deputazione, che abbraccia le provincie dell'Emilia e della Romagna per la modifica dello statuto del 1935, per la separazione delle varie sezioni che intendono ricostituirsi in separate deputazioni, come erano prima della riforma fascista». In quella sede venne dichiarato che il nuovo statuto intendeva mettere in evidenza «lo scopo prettamente storico dell'istituto, che va quindi considerato come un organo tecnico composto […] di professionisti della storia, organo propulsore di ricerche, di studi e illustrazioni delle fonti storiche della regione e non già un'accademia di cui si debba considerare come un'onorificenza appartenervi».
Lo statuto
Odi barbare
Odio l'usata poesia: concede
comoda al vulgo i flosci fianchi e senza
palpiti sotto i consueti amplessi
stendesi e dorme.
Giosuè Carducci
Presidente della Deputazione di Storia patria per le Province di Romagna
dal 1887 al 1907